Tra la fine del XIV e
l’inizio del XV secolo, in Italia prese forma una nuova visione del
mondo che si distaccò dalla cultura medievale, la quale era stata
caratterizzata dalla forte impronta religiosa, chiamata Umanesimo e
Rinascimento. Esse si distinguono in:
Umanesimo, nella
quale maturano le nuove idee;
Rinascimento, il
raggiungimento del massimo splendore, attraverso magnifiche opere
artistiche e letterarie.
La parola umanesimo
deriva dalla letteratura classica (le humanae litterae) in
contrapposizione con i testi sacri (le divinae litterae), e i suoi
fondamenti sono:
la valorizzazione
dell’uomo, posto al centro del mondo, in grado di creare la storia
e dominare la natura, capacità proclamata come dono di Dio;
la riscoperta dei
classici: modelli di vita divennero gli autori classici, si diffonde
lo studio del greco e latino e viene abbandonata la lettura
allegorica dei classici lasciando spazio alla filologia.
Gli umanisti definirono
l’epoca che li precedeva come un’età di decadimento, e la
chiamarono “età di mezzo”, perché tra l’età classica e la
loro, che consideravano una rinascita delle arti.
La cultura venne
laicizzata, cioè essa iniziò ad essere considerata come autonoma ed
indipendente dalla Chiesa e dalla religione, dando vita d una nuova
figura di intellettuale, il cortigiano. Esso infatti era legato alla
corte di un signore (suo mecenate) e non più alla Chiesa.
In quest’epoca la
diffusione della cultura divenne più agevole grazie all’invenzione
da parte di Gutenberg della stampa a caratteri mobili. Si diffusero
così in tutta Europa tipografie e libri, più maneggevoli ed
economici dei codici.
Alla base del progresso
scientifico vi era l’interesse per l’uomo e la natura; nel
Rinascimento gli scienziati vollero condurre un’osservazione
diretta di esssa, conquistando così nuove conoscenze nelle scienze
naturali.
Vennero compiuti grandi
progressi anche nello studio della medicina e del corpo umano, in
particolare nell’anatomia, grazie alla dissezione dei cadaveri.
Inoltre cessò la
convinzione per cui la Terra e l’uomo costituissero il centro
dell’universo.
Nel Cinquecento la
storia iniziò ad essere considerata come il risultato delle azioni
degli uomini, attraverso la quale si potevano trarre insegnamenti da
seguire nel presente, al contrario del Medioevo durante il quale era
considerata come divina provvidenza.
Tra il XVI e la metà
del XVII secolo, in campo politico, venne opposto all’universalismo
medievale, che teorizzava la supremazia del Papato e dell’Impero su
tutte le altre entità politiche, il principio secondo il quale il
principe non riconosceva più alcun limite alla sua autorità.
Fondatore dell’autonoma
scienza politica fu Niccolò Macchiavelli, che la riteneva regolata
da leggi diverse da quelle della religione o della morale comune e
sostenne che l’agire degli uomini di Stato andasse valutato solo in
base a quelle leggi. Nel suo trattato “Il Principe” egli ritiene
infatti che la virtù del sovrano consistesse nell’adottare il
comportamento di volta in volta più adatto a conservare il potere,
anche tramite metodi spregiudicati, ma sempre finalizzati alla
ricerca del bene pubblico.
Altro famoso umanista è
l’inglese Tommaso Moro, nella cui famosa opera “Utopia”,
denuncia le contraddizioni della società europea; in questa l’autore
immagina una comunità ideale, dove non vi è la proprietà privata e
in cui gli uomini, pacifisti e tolleranti, vivono secondo semplici
regole, governati da un’aristocrazia intellettuale.
Sia Moro che
Macchiavelli, pur nella loro diversità, separano la politica dal
divino, riconducendola alle scelte umane, premessa della concezione
democratica della vita politica: infatti, se sono gli uomini a
istituire l’ordine entro cui si organizzano, ognuno di essi ha
diritto a partecipare a questa
costruzione.