mercoledì 5 giugno 2013

Umanesimo e Rinascimento



Tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo, in Italia prese forma una nuova visione del mondo che si distaccò dalla cultura medievale, la quale era stata caratterizzata dalla forte impronta religiosa, chiamata Umanesimo e Rinascimento. Esse si distinguono in:
  • Umanesimo, nella quale maturano le nuove idee;
  • Rinascimento, il raggiungimento del massimo splendore, attraverso magnifiche opere artistiche e letterarie.
La parola umanesimo deriva dalla letteratura classica (le humanae litterae) in contrapposizione con i testi sacri (le divinae litterae), e i suoi fondamenti sono:
  • la valorizzazione dell’uomo, posto al centro del mondo, in grado di creare la storia e dominare la natura, capacità proclamata come dono di Dio;
  • la riscoperta dei classici: modelli di vita divennero gli autori classici, si diffonde lo studio del greco e latino e viene abbandonata la lettura allegorica dei classici lasciando spazio alla filologia.
Gli umanisti definirono l’epoca che li precedeva come un’età di decadimento, e la chiamarono “età di mezzo”, perché tra l’età classica e la loro, che consideravano una rinascita delle arti.

La cultura venne laicizzata, cioè essa iniziò ad essere considerata come autonoma ed indipendente dalla Chiesa e dalla religione, dando vita d una nuova figura di intellettuale, il cortigiano. Esso infatti era legato alla corte di un signore (suo mecenate) e non più alla Chiesa.
In quest’epoca la diffusione della cultura divenne più agevole grazie all’invenzione da parte di Gutenberg della stampa a caratteri mobili. Si diffusero così in tutta Europa tipografie e libri, più maneggevoli ed economici dei codici.
Alla base del progresso scientifico vi era l’interesse per l’uomo e la natura; nel Rinascimento gli scienziati vollero condurre un’osservazione diretta di esssa, conquistando così nuove conoscenze nelle scienze naturali.
Vennero compiuti grandi progressi anche nello studio della medicina e del corpo umano, in particolare nell’anatomia, grazie alla dissezione dei cadaveri.
Inoltre cessò la convinzione per cui la Terra e l’uomo costituissero il centro dell’universo.

Nel Cinquecento la storia iniziò ad essere considerata come il risultato delle azioni degli uomini, attraverso la quale si potevano trarre insegnamenti da seguire nel presente, al contrario del Medioevo durante il quale era considerata come divina provvidenza.
Tra il XVI e la metà del XVII secolo, in campo politico, venne opposto all’universalismo medievale, che teorizzava la supremazia del Papato e dell’Impero su tutte le altre entità politiche, il principio secondo il quale il principe non riconosceva più alcun limite alla sua autorità.
Fondatore dell’autonoma scienza politica fu Niccolò Macchiavelli, che la riteneva regolata da leggi diverse da quelle della religione o della morale comune e sostenne che l’agire degli uomini di Stato andasse valutato solo in base a quelle leggi. Nel suo trattato “Il Principe” egli ritiene infatti che la virtù del sovrano consistesse nell’adottare il comportamento di volta in volta più adatto a conservare il potere, anche tramite metodi spregiudicati, ma sempre finalizzati alla ricerca del bene pubblico.


Altro famoso umanista è l’inglese Tommaso Moro, nella cui famosa opera “Utopia”, denuncia le contraddizioni della società europea; in questa l’autore immagina una comunità ideale, dove non vi è la proprietà privata e in cui gli uomini, pacifisti e tolleranti, vivono secondo semplici regole, governati da un’aristocrazia intellettuale.
Sia Moro che Macchiavelli, pur nella loro diversità, separano la politica dal divino, riconducendola alle scelte umane, premessa della concezione democratica della vita politica: infatti, se sono gli uomini a istituire l’ordine entro cui si organizzano, ognuno di essi ha diritto a partecipare a questa
costruzione.


Nessun commento:

Posta un commento