mercoledì 5 giugno 2013

Le cause delle scoperte geografiche



Fra il XV e il XVI secolo, vennero intrapresi viaggi alla ricerca di nuovi mondi dagli Europei, ed i presupposti per queste scoperte furono:
  • culturali: lo spirito critico del Rinascimento spinse a studiare la realtà così com’era;
  • economici: i Veneziani monopolizzavano il commercio con l’Oriente, così i paesi europei che avevano porti sull’Atlantico cercarono una nuova “via per le Indie”:
  • tecnologici: si diffusero la caravella ed il galeone, adatti a lunghi viaggi, vennero inoltre installati cannoni e perfezionato l’uso degli strumenti nautici. I capitali per costruire ed equipaggiare le imbarcazioni vennero forniti dalle grandi monarchie, in specie Spagna e Portogallo.


Cristoforo Colombo, navigatore genovese, riteneva che si potesse raggiungere l’Oriente attraversando l’Oceano Atlantico. Il suo progetto, finanziato dai reali Spagnoli, portò nel 1492 alla scoperta di terre Americane. Solo più tardi Amerigo Vespucci capì che queste terre non erano parte dell’Asia, ma di un nuovo continente, che venne chiamato America in suo onore.
Subito dopo questa scoperta, tutta l’Europa atlantica fece a gara per accaparrarsi le nuove terre.
Dopo il 1500 i viaggi iniziarono a moltiplicarsi, ed incominciarono ad acquisirsi sempre maggiori conoscenze geografiche. Su commissione spagnola, nel 1519, il portoghese Ferdinando Magellano partì per una spedizione che raggiunse le Indie passando per l’Occidente e circumnavigò il globo terrestre, dimostrando così la sfericità della Terra.




Umanesimo e Rinascimento



Tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo, in Italia prese forma una nuova visione del mondo che si distaccò dalla cultura medievale, la quale era stata caratterizzata dalla forte impronta religiosa, chiamata Umanesimo e Rinascimento. Esse si distinguono in:
  • Umanesimo, nella quale maturano le nuove idee;
  • Rinascimento, il raggiungimento del massimo splendore, attraverso magnifiche opere artistiche e letterarie.
La parola umanesimo deriva dalla letteratura classica (le humanae litterae) in contrapposizione con i testi sacri (le divinae litterae), e i suoi fondamenti sono:
  • la valorizzazione dell’uomo, posto al centro del mondo, in grado di creare la storia e dominare la natura, capacità proclamata come dono di Dio;
  • la riscoperta dei classici: modelli di vita divennero gli autori classici, si diffonde lo studio del greco e latino e viene abbandonata la lettura allegorica dei classici lasciando spazio alla filologia.
Gli umanisti definirono l’epoca che li precedeva come un’età di decadimento, e la chiamarono “età di mezzo”, perché tra l’età classica e la loro, che consideravano una rinascita delle arti.

La cultura venne laicizzata, cioè essa iniziò ad essere considerata come autonoma ed indipendente dalla Chiesa e dalla religione, dando vita d una nuova figura di intellettuale, il cortigiano. Esso infatti era legato alla corte di un signore (suo mecenate) e non più alla Chiesa.
In quest’epoca la diffusione della cultura divenne più agevole grazie all’invenzione da parte di Gutenberg della stampa a caratteri mobili. Si diffusero così in tutta Europa tipografie e libri, più maneggevoli ed economici dei codici.
Alla base del progresso scientifico vi era l’interesse per l’uomo e la natura; nel Rinascimento gli scienziati vollero condurre un’osservazione diretta di esssa, conquistando così nuove conoscenze nelle scienze naturali.
Vennero compiuti grandi progressi anche nello studio della medicina e del corpo umano, in particolare nell’anatomia, grazie alla dissezione dei cadaveri.
Inoltre cessò la convinzione per cui la Terra e l’uomo costituissero il centro dell’universo.

Nel Cinquecento la storia iniziò ad essere considerata come il risultato delle azioni degli uomini, attraverso la quale si potevano trarre insegnamenti da seguire nel presente, al contrario del Medioevo durante il quale era considerata come divina provvidenza.
Tra il XVI e la metà del XVII secolo, in campo politico, venne opposto all’universalismo medievale, che teorizzava la supremazia del Papato e dell’Impero su tutte le altre entità politiche, il principio secondo il quale il principe non riconosceva più alcun limite alla sua autorità.
Fondatore dell’autonoma scienza politica fu Niccolò Macchiavelli, che la riteneva regolata da leggi diverse da quelle della religione o della morale comune e sostenne che l’agire degli uomini di Stato andasse valutato solo in base a quelle leggi. Nel suo trattato “Il Principe” egli ritiene infatti che la virtù del sovrano consistesse nell’adottare il comportamento di volta in volta più adatto a conservare il potere, anche tramite metodi spregiudicati, ma sempre finalizzati alla ricerca del bene pubblico.


Altro famoso umanista è l’inglese Tommaso Moro, nella cui famosa opera “Utopia”, denuncia le contraddizioni della società europea; in questa l’autore immagina una comunità ideale, dove non vi è la proprietà privata e in cui gli uomini, pacifisti e tolleranti, vivono secondo semplici regole, governati da un’aristocrazia intellettuale.
Sia Moro che Macchiavelli, pur nella loro diversità, separano la politica dal divino, riconducendola alle scelte umane, premessa della concezione democratica della vita politica: infatti, se sono gli uomini a istituire l’ordine entro cui si organizzano, ognuno di essi ha diritto a partecipare a questa
costruzione.


Formazione dello Stato moderno



Tra il X il XII secolo, lo Stato attraversò una crisi che lo portò alla disgregazione: a causa dei territori troppo vasti, i sovrani delegarono le funzioni dello Stato ai feudatari, che iniziarono però a comportarsi da sovrani.
Le funzioni amministrative e di governo esercitate una volta dagli ufficiali, iniziarono ad essere svolte dalle singole famiglie. La popolazione venne assoggettata da signori che amministravano la giustizia, chiedevano prestazioni militari e riscuotevano imposte. Le aree rurali divennero parti di possedimenti terrieri di diversi signori.



Queste si estendevano intorno ad un castello fortificato al cui interno vivevano il signore, in suoi cavalieri ed i contadini che lavoravano le terre.
Ogni signore considerava le funzioni ad egli affidate come parte del proprio patrimonio, motivo per il quale queste venivano lasciate in eredità, donate o vendute.
Dalla disgregazione dell’autorità statale derivò una generale insicurezza, così i sudditi iniziarono a rivolgersi al re per veder garantiti i propri diritti, inoltre le monarchie, i principati e i Comuni iniziarono a limitare i poteri dei signori in modo da rafforzare lo Stato.
Nel XII-XV secolo si svilupparono in Europa le monarchie feudali, caratterizzate da un contratto tra sovrano e sudditi che comportava:
  • Che il sovrano garantisse i privilegi dei nobili, del clero e dei cittadini;
  • L’impossibilità di introdurre innovazioni senza il consenso dei sudditi (che si riunivano a dibattere in parlamenti);
  • La possibilità di deporre il sovrano che non rispettasse questo contratto.
Il re poteva scegliere senza consultare i parlamenti solo nei periodi di guerra che, essendo molto frequenti in quel periodo, venivano sfruttati dal re per accentrare il potere. La conseguente rapida ascesa del sovrano segnò la nascita dello Stato moderno, le quali caratteristiche furono:
  • l’accentramento del potere, che comportò lo scontro tra monarca e ceti privilegiati;
  • la territorialità, in contrasto con l’universalismo dell’Impero e del papato;
  • la concezione patrimoniale e dinastica dello Stato, considerato un bene di proprietà del sovrano e trasmesso in eredità;
  • l’organizzazione incentrata sulla corte, attraverso la quale il re guidava l’esercito e la burocrazia.

martedì 20 novembre 2012

LA RINASCITA: LO SVILUPPO AGRICOLO E DEMOGRAFICO

Tra l'XI e il XIII secolo l'Europa conobbe una fase di ripresa economica e demografica, definita dagli storici "rinascita dell'Occidente". Avvenne infatti una crescita demografica testimoniata dall'estensione delle cinte murarie delle città, l'allargamento delle coltivazioni, la creazione di nuovi insediamenti. Questa crescita della popolazione deve essere posta in relazione con un aumento delle disponibilità economiche.
La ripresa fu il prodotto di vari fattori:
- il clima cambiò diventando più favorevole all'agricoltura;
- cessarono le invasioni che causarono devastazioni nel IX e X secolo;
- nuovi strumenti modificarono il modo di lavorare dei contadini;
- migliorarono le tecniche agricole;
- nuove terre vennero bonificate.

Intorno al Mille si diffuse un collare rigido che si appoggiava sulle spalle dell'animale e che non gli impediva di respirare anche quand'era sotto sforzo. Ciò ne migliorò la produttività e rese ancora più efficace l'introduzione di un nuovo tipo di aratro, il cosiddetto aratro pesante ( un aratro di ferro montato su ruote, che ne rendevano più agevole il traino ).
L'aratro era dotato di un vomere, una lama con la funzione di fendere orizzontalmente la terra da rivoltare; di un coltro, un'ulteriore lama posta davanti al vomere che tagliava la terra andando in profondità; di un versoio, uno strumento che rovesciava la zolla. L'uso del ferro si rivelò fondamentale sia per la preparazione del terreno sia per l'ampliamento delle zone coltivabili. Inoltre venne introdotta la ferratura degli zoccoli per i cavalli e il cavallo da tiro sostituì il bue.
A queste invenzioni, si aggiunse la diffusione del mulino ad acqua o a vento. Con il mulino si potevano compiere con più rapidità molte attività che prima venivano svolte manualmente: macinare il grano, azionare i mantici per fondere i metalli, far funzionare le pompe per prosciugare i terreni.
Il perfezionamento delle attività agricole determinò una progressiva diminuzione delle corvèes che gli affittuari dovevano svolgere sulla pars dominica, e contribuì anche ad allentare i legami economici tra le due parti del sistema curtense.

L'unico concime conosciuto era il letame, ma da solo non era sufficiente a ricostruire la scorta di sostanze chimiche indispensabile a far crescere nuove piante. Perciò era necessario far riposare periodicamente il terreno con la rotazione delle colture.
Prima del Mille, le zone coltivabili erano pre lo più divise in due parti (rotazione biennale): metà terreno veniva coltivato per esempio a cereali; mentre l'altra metà era lasciata a maggese e serviva per il fieno e il pascolo degli animali; l'anno successivo la situazione si invertiva.
Verso il Mille, venne estesa in gran parte del territorio europeo, dove le condizioni climatiche lo consentivano, la rotazione triennale già nota dal secolo IX nell'Europa atlantica: un terzo dei campi era seminato in autunno, un terzo era seminato in primavera e un terzo era lasciato a maggese.

Tra il X e il XIII secolo la popolazione europea raddoppiò: si calcola che intorno al Mille in Europa vivessero circa 40 milioni di abitanti e che agli inizi del 1300 ve ne fossero invece circa 80 milioni.
Sulle zone conquistate all'agricoltura sorsero numerosi villaggi, il cui nome testimonia la condizione boschiva originaria dei terreni sui quali vennero edificati.
Furono anche bonificate zone paludose e gli uomini iniziarono a stanziarsi sulle montagne, prima abitate solo da monaci ed eremiti.

mercoledì 7 novembre 2012

PROTESTANTESIMO


Il Protestantesimo è una forma di Cristianesimo sorta nel XVI secolo per riformare la Chiesa cattolica considerata nella dottrina e nella prassi non più conforme alla parola di Dio, a seguito del movimento politico e religioso noto come "Riforma Protestante", derivato dalla predicazione dei riformatori, fra i quali i più importanti sono Martin Lutero e Giovanni Calvino.
Dal punto di vista teologico, il protestantesimo, come il cattolicesimo e l'ortodossia, accetta le confessioni di fede della chiesa antica, il simbolo niceno e il simbolo apostolico. Le divergenze si sviluppano su questioni che non sono esplicitamente trattate nelle antiche confessioni di fede, in particolare: il ruolo della grazia, la relazione che intercorre tra la fede  e le opere (cioè l'azione, la vita pratica), e quella tra la Parola e il magistero della Chiesa. Infatti, sono comuni alle varie chiese appartenenti alla famiglia protestante i princìpi qui elencati:
  • Solus Christus: dal momento che Dio è amore, può agire il suo amore in totalità e libertà attraverso la grazia. L'essere di Dio che liberamente si dona è Gesù Cristo. Gesù è quindi la parola vivente di Dio che perdona i nostri peccati. Visto dalla parte dell'uomo, Dio può essere compreso solo attraverso Cristo; nessuna promessa della salvezza può essere intesa correttamente se non in relazione alla vita, morte e resurrezione di Gesù In questo senso, in Gesù, ed esclusivamente in Gesù, si concentra l'interesse, lo sguardo, la riflessione, la teologia del credente.
  • Sola Gratia: l'uomo, essendo costituzionalmente peccatore, per quanto si sforzi di operare rettamente non arriverà mai a meritare la salvezza, ma Dio la offre gratuitamente per amore. Non esiste alcuna cooperazione da parte dell'uomo, né predisposizione, "tutto, nell'evento salvifico, è affidato all'iniziativa di Dio in Cristo soltanto." Dio perdona l'uomo; la giustificazione uccide l'uomo vecchio e solo da questo momento nasce l'uomo nuovo, secondo quanto riportato nella Lettera ai romani 6,12-23. Il credente è sempre peccatore e costantemente salvato di nuovo: "peccatore di fatto, ma giusto nella speranza; peccatore nella realtà, ma giusto agli occhi di Dio e in virtù della sua promessa". L'uomo nuovo sarà indotto a ben operare, spinto dall'amore di cui Dio lo ha ricolmato, anche se immeritatamente, ma rimarrà consapevole che non sono le sue buone opere a salvarlo, ma solo la Grazia del Signore.
  • Sola Fide: la fede consiste non solo nel credere nelle Scritture ma nella fiducia nel fatto che Cristo ci è stato mandato per compiere la nostra salvezza. "La fede mette a disposizione dei credenti Cristo stesso e i suoi benefici, ossia il perdono, la giustificazione e la speranza". La giustificazione per fede consiste, secondo Lutero, nel fatto che Dio fornisce tutto il necessario per la salvezza e l'essere umano compie solo l'atto passivo di riceverla. Ma chi è giustificato, non per questo è immune dal peccato; si ha qui la dottrina del simul iustus et peccator: il riformatore, rifacendosi a Romani 7,14-25, sostiene che "l'evangelo (...) mi dice che sono giusto, ma, nello stesso tempo, mi rende consapevole di essere un peccatore. (...) Il peccato esiste ed è all'opera, ma non è la forza decisiva che governa l'esistenza."
  • Sola Scriptura: la Bibbia è l'unica autorità per il cristiano, in quanto viene ricevuta come se Dio parlasse in essa. L'autorità dei papi e dei concilii è subordinata a quella della Bibbia, anzi si misura sulla base della sua fedeltà alla Scrittura. Tale principio si pone in forte contrasto con il ruolo della tradizione nella dottrina cattolica. Il concetto di "tradizione" viene ad assumere notevole importanza nel tardo Medioevo: se nella chiesa del II secolo, in risposta a varie controversie, in particolare allo gnosticismo, si era delineata l'idea di una interpretazione "legittima" delle Scritture, nel XIV e XV secolo la tradizione viene intesa come un'altra fonte di rivelazione, separata, che va aggiunta alla Scrittura; la dottrina, dunque, si basa su una fonte scritta (la Bibbia) ed una non scritta (la tradizione). Solo la corrente più radicale della Riforma  applicò in maniera assoluta il rigetto della tradizione; la maggior parte dei riformatori, temendo l'individualismo di una lettura del tutto personale della Bibbia, accettò la tradizione patristica e si limitò a criticare gli aspetti in cui la teologia e la prassi della chiesa cattolica contraddicevano o travalicavano la Scrittura. C'è da notare che vi sono alcune differenze tra il canone cattolico romano e quello delle bibbie protestanti: i libri deuterocvanonici, compresi nella Septuaginta ma non nel canone ebraico, non fanno parte del canone delle bibbie protestanti. Non c'è quindi solo una divergenza sul valore della Scrittura ma anche su cosa sia da considerare Scrittura. Relativamente all'interpretazione della Scrittura, uno degli aspetti che favorirono enormemente la diffusione del Protestantesimo in ambienti sia colti che popolari fu il fatto che affermava il diritto di tutti a leggere ed interpretare la Bibbia, mentre il Concilio di Trento ribadiva il divieto ai laici di possedere e leggere la Bibbia in lingua volgare o testi che trattino dell'interpretazione delle Scritture senza permesso.
     Sacramenti : se per la chiesa cattolica sono segni sensibili ed efficaci della grazia, attraverso i quali viene elargita la grazia, per il protestantesimo invece non hanno alcuna sacralità ma sono semplicemente segni, che rendono tangibili le promesse di Dio attraverso oggetti d'uso quotidiano per rassicurare la debolezza della fede degli esseri umani. Fin dai primi riformatori, vengono riconosciuti solamente il battesimo e l'eucarestia, in quanto «solo in questi vediamo un simbolo istituito da Dio e la promessa della redenzione dei peccati». Per approfondire la concezione dell'eucaristia nel protestantesimo, si veda la voce Santa cena.
  • Sacerdozio universale : non esiste la figura di un mediatore tra l'essere umano e Dio. Gesù è il sacerdote che riconcilia definitivamente Dio all'uomo (come espresso in Ebrei 7,24) ed al contempo, «svuotando il sacerdozio delle prerogative di casta, (...) ha instaurato il Sacerdozio universale di tutti i credenti, uguali fra loro in dignità e importanza, pur nelle diverse vocazioni e nei diversi servizi»

martedì 6 novembre 2012

IL SISTEMA CURTENSE


IL SISTEMA CURTENSE

 

La crisi impose la riorganizzazione della vita economica, che divenne:

-         locale: per l’arresto dei traffici;

-         agraria: perché la terra diventò quasi l’unica fonte di ricchezza;

-         poco differenziata: perché ogni comunità ricercò l’autosufficienza.

Di conseguenza in Occidente si affermò così una nuova organizzazione produttiva: il sistema curtense.

 

Durante l’Alto Medioevo, cioè il periodo inteso dalla caduta dell’Impero romano fino all’anno mille, la terra venne progressivamente divisa in possedimenti chiamati curtes che appartenevano a un dominus (il re, la Chiesa od un signore locale).

Ogni curtis era divisa in due parti:

-         la pars domenica (da dominus): riservata al padrone e da lui gestita attraverso il lavoro dei    suoi servi;

-         la pars massaricia (da massarius, “contadino”): suddivisa in mansi, appezzamenti affidati a servi o a contadini liberi. Questi, in cambio dell’uso del terreno, dovevano versare parte del raccolto e pagare i tributi al signore, oltre a lavorare i terreni della pars dominica per un certo numero di giornate (corvèes).

Si diffuse la servitù della gleba che vietava, ai contadini che vi erano sottoposti, di lasciare la terra che coltivavano.

martedì 9 ottobre 2012

LA CRISI DELL'ECONOMIA DELL'IMPERO ROMANO

Le cause principali del periodo di prosperità economica che ci fu nei due secoli e mezzo seguenti al principato di Augusto furono:
- la pace e la stabilità politica, che consentirono di utilizzare le risorse economiche per costruire nuove infrastrutture;
- la presenza di un'efficace rete di comunicazioni favorì gli scambi commerciali e fece diventare Roma il vero centro del mondo civile;
- l'unità amministrativa dell'Impero contrinuì sia ad estendere la lingua, il diritto, la moneta, sia a favorire gli scambi commerciali interni.

Quella romana era un'economia monetaria il cui centro erano le città.
La pace comportò cambiamenti che sul lungo periodo diventarono elementi di crisi.
Si ridusse quasì a nulla l'afflusso dei prigionieri di guerra, fonte principale per il mercato degli schiavi. La mancanza di servi che aveva permesso la formazione d'industrie, divenne fonte di crisi per le proprietà terriere e le manifatture. L'amministrazione centrale e periferica esigeva una numerosa e costosa burocrazia professionale, così come la difesa dei confini, che divenuti molto estesi impegnavano molti militari. Queste spese ordinarie divennero ingenti trasformandosi in un pesante carico fiscale.
Le provincie sviluppata una propria economia divenute temibili concorrenti ebbero come conseguenza la diminuzione dei prezzi, la scarsa disponibilità e l'alto costo del lavoro servile. L'inasprimento degli oneri fiscali determinarono un peggioramento delle colture e in molti casi l'abbandono delle terre e delle industrie.
L'ulteriore e decisivo fattore di crisi fu la fine della pace che terminò definitivamente con le invasioni del V secolo. Le necessità della difesa militare s'imposero su tutto e determinarono il tramonto dell'antica prosperità:
- l'aumento continuo delle tasse causò un impoverimento generalizzato;
- i prodotti agricoli scarseggiarono e costarono sempre di ppiù (inflazione) ;
- le guerre civili e le incursioni dei barbari determinarono una condizione di generale insicurezza e la rovina della rete stradale romana; tutto ciò causò il crollo del commercio;
- i consumi di lusso diminuirono drasticamente determinando la crisi dell'artigianato.

Si ruppe l'antica unità mediterranea. L'Oriente affrontò meglio la crisi e trasmise l'eredità della romanità all'Impero bizantino. LOccidente invece si avviò verso la rovina e la disgregazione. La situazione del VI secolo evidenzia due diversi destini:
- l'Impero bizantino conobbe con Giustiniano il momento di maggior splendore della sua storia;
- l'Occidente attraversò una profonda crisi caratterizzata da una regressione demografica ed economica.
Nel secolo successivo in Oriente nacque la grande civiltà islamica, mentre l'Occidente era un'area debole e sottosviluppata.

L'Occidente conobbe il movimento più duro di crisi dal VI all'VIII secolo. I problemi più gravi furono l'abbandono delle città e lo spopolamento, il deterioramento dell'economia monetaria e la crisi dell'agricoltura.
A causa dei freni che lo stato pose alle distribuzioni gratuite di grano ai cittadini bisognosi, molti cittadini romani furono costretti ad emigrare dalla città.
All'emigrazione s'aggiunse la diminuzione della natalità. Lo spopolamento si accentuò a causa delle stragi, delle carestie e delle epidemie che accompagnarono le invasioni barbariche.
L'aumento eccessivo delle spese statali e la disorganizzazione commerciale determinarono una progressiva svalutazione della moneta.
La crisi dell'economia monetaria riportò in molte zone una situazione di economia naturale. Il sale fu l'unico genere per cui continuò un commercio di massa. Per il resto il baratto e l'autoconsumo sostituirono quasì completamente lo scambio su base monetaria.
Il crollo delle attività urbane determinò una ruralizzazione dell'economia. La diminuzione della popolazione implicò la riduzione dei campi coltivati e nei campi incolti tornarono a svilupparsi le foreste che si estesero quindì su gran parte dell'Europa.